La Corte di Appello di Palermo con il recente decreto n.204/2019 R.G., si pronuncia su una delicata questione in materia di equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo.
Nel caso specifico i ricorrenti a seguito della emissione in loro favore di un decreto ex art. 3 Legge n°89/2001, prima di provvedere alla sua notifica, avevano depositato un’istanza di correzione ex artt. 287 c.p.c. e ss., al fine di ottenere la rettifica dell’importo erroneamente liquidato dalla Corte in prima istanza.
Una volta emesso il decreto di correzione i ricorrenti provvedevano, come previsto dalla normativa di specie, a notificare al Ministero dell’Interno, e per esso all’Avvocatura di Stato, sia il decreto originariamente emesso sia quello successivo reso a seguito della istanza di correzione.
Ai suddetti decreti proponeva formale opposizione il Ministero della Giustizia chiedendo alla Corte di Appello di dichiarare l’inefficacia degli stessi per lo spirare del termine decadenziale di cui all’art. 5, comma II, Legge n°89/2001.
Costituitisi in giudizio gli originari ricorrenti resistevano all’opposizione ex adverso sollevata chiedendo la conferma dei decreti emessi.
La Corte di Appello di Palermo, condividendo le difese delle parti opposte, rigettava l’opposizione e condannava altresì il Ministero al pagamento delle spese di lite.
Precisa, infatti la che la disciplina applicabile al procedimento di correzione di errore materiale del decreto ingiuntivo, mutuata per analogia dal procedimento regolato dagli artt. 287 c.p.c. e ss., attribuisce al provvedimento di correzione una valenza mista dichiarativa e costitutiva laddove prevede che “le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione” (art. 288, comma IV c.p.c.)
Secondo la Corte infatti, l’art. 288, comma IV c.p.c., in conformità ad un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, “nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l’errore corretto sia tale da determinare un qualche obiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione e non già quando l’errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un’eventuale correzione dell’errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell’impugnazione”(Cfr. ex plurimis Cass. Civ. n.22185 del 20.10.2014)
Tenuto conto che nel caso di specie la correzione operata dal secondo decreto aveva liquidato importi diversi da quelli esposti nel provvedimento di correzione, rivisitando e sostituendo in maniera radicale lo stesso, la Corte territoriale ritiene corretto ricondursi alla emissione del provvedimento di correzione il decorso del termine di inefficacia rigettando, pertanto, l’opposizione promossa dal Ministero della Giustizia.